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da "L'insonnia di Persefone"

 

Atto primo 

IV 

Porto sulle spalle il peso intero 
della notte, degli scrosci sprecati 
delle fontane, del mio sonno in frantumi. 
Attuo una dolorosa resa al dolore, 
all’insidia che mi spinge a inciampare 
negli abbagli della luce frontale. 
Ori e febbri. Tra questi estremi 
già si annuncia il mio spietato ottobre 
che non sarà vento, tra i rami. 
Niente mi interessa davvero oltre 
la mia dura condanna, il patto col dolore, 
la discesa alla mia casa d’inverno. 
Perlomeno qui l’insonnia 
è benedetta dalle stelle. Laggiù 
è tutto un guardarsi all’indietro 
mentre qui i fiori sul davanzale, 
che ancora non oso sfiorare, 
hanno occhi soltanto per i giorni a venire. 

Atto secondo 

III 

Nel portagioie di cui non mi curo 
i gioielli di famiglia, gli ori, 
gli argenti dei cinesi stanno 
mischiati alle forcine, alle roselline 
di carta velina, ai braccialetti in cuoio

comprati ad Ibiza, mai indossati. 
Le fototessere della stazione 
sgualcite, sorridono sghembe 
ancora e per sempre, eppure 
non sanno più nulla di me, 
se mai hanno saputo, 
né dei miei attuali sorrisi, 
del mio imposto regno ipogeo, 
dei miei ciclici arrivederci. 

 

 


Atto terzo 

Prima lettera a Ade 

Sopra il tavolo della discussione 
insieme ai chicchi di melograno 
non caddero soltanto le parole 
dette, ma stagioni di incomprensioni, 
le tue pretese e la mia inadeguatezza, 
lo sviare degli sguardi, la crepa 
che da parte a parte ci spartiva, 
la canzone d’amore, in sottofondo, 
diventata d’un tratto 
un rumore molesto. 
Tutto il non detto sbraitava, si infilzava 
tra le righe, cancellava con segni neri 
intere frasi, stracciava i fogli delle confessioni 
redatte di fretta in brutta copia. 
Solo il reciproco perdono 
poteva sgombrare la tavola 
da tutte le macerie franate 
ma il perdono è affare per gli angeli 
o per gli esseri che si amano 
tra loro in qualsiasi stagione, 
 

La foglia verde


Qui, dove tutto ci dimostra
che è solamente febbraio
(quale altra definizione potremmo azzardare?),
sediamo, dando le spalle al senso di marcia,
sedotti dall'illusione che si tratti di un gioco
che potremo interrompere al richiamo 
per la cena, una sorta di autoconsolazione,
un lieto fine scontato in dissolvenza.
Ci arrendiamo al sollievo
della rassegnazione della sera,
mettendo a tacere l’impressione sgradita
di non aver compreso appieno i segni
che avrebbero potuto rivelarci i motivi.
Il traffico è un alone trascurabile
sulla condensa umida dei vetri,
le donne che attraversano la strada
sono donne bellissime
nei loro cappotti di luce,
nei loro volti di erba nuova,
nelle promesse dei loro silenzi.
Persino il conducente del tram,
a quest’ora di sera, nel tepore che stordisce
accarezza i propri desideri muti
nel silenzio di uno sguardo dritto sulla strada
e abbozza un sorriso di foglia verde
malgrado il buio
di questo febbraio.

L’estate del mondo


Tutte le parole dette e ascoltate 

scivolano nella quieta discesa 

che porta al mare, alla spiaggia dove 

passeggiare leggeri come fanno 

di sera i turisti sul lungomare,

dove sopra un telo giallo riposa 

il bambino delle estati passate.

Con lui condivido le memorie 

del presente, l’orizzonte identico, 

immutato.


Lui non chiede quanti giorni manchino 

al termine delle vacanze, a differenza nostra 

che li contiamo a ritroso, sorso a sorso 

fino al fondo del bicchiere, alzando il braccio 

in segno di saluto all’indirizzo 

dell’unica nuvola bianca presente.


La risacca ci bagna i piedi, la sfuggiamo ridendo

lui e io. Condividiamo il medesimo nome, 

la stessa avversione per i fuochi di Ferragosto.

A pelo d'acqua galleggia un uomo 

con le braccia incrociate sul petto

storniamo entrambi lo sguardo verso 

la collina in controluce, verso

un’illusione di durata, di presenza immutata.

Fin quando nulla avremo più alle spalle.

Non resta che definire che nome dare 

a questa nostalgia 

del presente.

L'ombra dei Tigli



Questo è il mese in cui fioriscono i Tigli, 
in file ordinate a perimetrare i parcheggi 
dei centri commerciali decentrati
dove i negozi di abbigliamento infeltriscono 
dietro le saracinesche sprangate.

Se oggi Guido fosse ancora vivo gli direi
“ora so riconoscere il profumo dei Tigli.
Non ti farei perdere la scommessa
come al matrimonio di tua figlia 
con il batterista rock con la cravatta, 
quando ancora non riconoscevo gli alberi
e ti delusi per l'ignoranza 
che non avevi sospettato”.

Sul bordo delle cose

Si finisce così a guardare il mare
nei vuoti pomeriggi di inverno,
a cercare la linea dove diventa cielo
si capovolge e ci confonde.

Si finisce così a scrivere parole
sui bordi bianchi dei giornali,
a vederle bruciare
e confondersi con la nebbia.

Di padre in figlio


Lungo l’argine dei fiumi

quello che da sempre

i padri insegnano ai figli

è fare saltare i sassi piatti

sopra il pelo dell’acqua.


Questo è il compito dei padri:

tramandare il gesto preciso,

insegnare la traiettoria disegnata

dal corretto prolungamento del braccio.


Quello che ne nasce è meraviglia,

l’impossibile che si compie,

la magia che si rivela

grazie al sortilegio della mano.


Papà governa gli incantesimi,

papa è il nostro vero eroe.

Perlomeno fino a quando

la piccola mano non scoprirà

che si tratta di un trucco da poco,

di un semplice gioco di prestigio

che anch’egli da solo

potrà compiere.

Di padre in figlio, ancora


In un sogno sgradito,

che avremmo tentato di dimenticare

una volta spalancate le persiane,

un figlio (restiamo sul generico)

colpiva in pieno volto il padre con un pugno,

rompendogli gli occhiali comprati da poco,

un patto considerato implicito

e i progetti per le vacanze future.


Ma al di là dello strepito incluso

e dei rimorsi che verranno velocemente elusi,

a quella drammatica scena mancò

una reazione conseguente

e una colonna sonora adeguata

(se si esclude il sottofondo singhiozzante

del pianto, responsabile, della madre)


(Si compiono gesti che appaiono enormi

eppure non sortiscono conseguenza alcuna.

Non solo non producono reazioni proporzionali

all’enormità del gesto compiuto

ma rischiano addirittura di passare in cavalleria).


Il figlio uscirà comunque

incontro alla sera che lo aspettava

uguale a mille altre che l'hanno preceduta

conservando nelle tasche dei calzoni

lo sconforto di qualcosa di perduto

a cui non si potrà più chiedere “per favore”.

Il padre, inabissato nel divano,

comprenderà di avere sprecato un dono

per il quale non era giusto pretendere riconoscenza.

Capirà che tutti avevano ragione tranne lui.

Seguiterà a seguire in televisione

(gli occhiali tenuti insieme dal nastro adesivo)

la seconda parte di un documentario

su di un pittore morto suicida.

Terrà a bada l'anima sotto una coperta con le frange

rimpiangendo i tempi in cui aveva una bella voce

e amava cantare

illudendosi di essere un contemporaneo.

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